Il principio di intenzione
Federica Dauri racconta la sua ricerca.

[Qual è il tuo approccio alla danza?]
“Danza” è una parola complicata, perché presuppone delle dinamiche e una certa idea di corpo e movimento.

Ho avuto una formazione accademica, prima in danza classica e poi contemporanea, che mi stava un po’ stretta. I due turning point che hanno segnato la mia vita e la mia percezione artistica sono arrivati in seguito, prima con una borsa per studiare a New York con Trisha Brown e, successivamente, con l’incontro della danza Butoh di Masaki-Iwana.

La danza per me ha un significato che è già cambiato diverse volte e che forse continuerà a cambiare. Sicuramente oggi posso dire che danza significa saper usare il corpo con consapevolezza, presenza e coscienza. Non soltanto una consapevolezza formale del movimento, ma interiore, che riguarda l’ascolto e l’intenzione del movimento.

Anche alzarsi da una sedia può essere una danza, dipende da come lo fai. Se lo fai con una certa intenzione, allora può diventare danza. E ogni corpo, in potenza, può danzare. Questo è per me la danza oggi.
La tecnica, poi, è un'altra cosa: è uno strumento utile o non utile, a volte limitante. Il corpo, invece, è il motore di ricerca.

Credo molto nella pratica fisica e nella disciplina, perché penso che il corpo vada conosciuto, abitato, vissuto e praticato non soltanto a livello fisico e motorio, anche energetico. In questo senso la tecnica deve essere uno strumento, non una gabbia. Vedi, anche il balletto mi ha dato tanto, più che altro una forma mentis, un’abitudine alla resistenza, alla disciplina e alla precisione ma resta per me uno strumento che ho attraversato. Decostruire quello che ho imparato forse è stata la cosa più difficile, che ancora non so se ho del tutto compiuto.

Corpus Mobile, 2014 - 2015, Federica Dauri, Kiril Bikov, ph © Alwin Poiana 

[Ti faccio una domanda che è anche un po’ una provocazione. E te lo dico perché, mentre tu mi parli di una conoscenza del corpo che passa attraverso l’esercizio e la disciplina, a me viene in mente il controllo, più che il piacere… Come si relaziona il piacere a tutto ciò?]
Domanda interessante. Il piacere lo trovo sul confine, nel limite che mi predispongo… Per esempio, se voglio cercare le sfumature del movimento delle costole, riduco i movimenti delle braccia e delle gambe e mi concentro su questo piccolo-piccolo spazio per esplorare tutte le sue possibilità. Per me questa è una forma di piacere. Però sono consapevole che in questa pratica il piacere e la frustrazione vanno di pari passo, perché la ricerca del micro-dettaglio, di ciò che è nascosto, è complessa. Non può portare immediatamente al piacere, deve passare attraverso una strada più tortuosa.

[Mi hai parlato di consapevolezza e coscienze del corpo e del movimento, come vivi l’invecchiamento?]
È un argomento complicato per me. A mio padre è stata diagnosticata una distrofia muscolare degenerativa, una malattia che trasforma il muscolo e lo fa scomparire piano piano, che ti porta quindi a osservare i suoi risultati più drammatici al di fuori, nella materia corpo.
Convivere con questa diagnosi mi ha portata ad avere una visione completamente nuova sulla precarietà del corpo; ha iniziato a muovermi il desiderio di raccontare la verità di altri corpi, anche fragili, che hanno pesi, forme e gravità diverse. E che invecchiano. Mi sta aiutando anche a fare pace con la mia paura di invecchiare, che odio, che è stata forte ed è ancora forte ma allo stesso tempo sono curiosa di continuare a raccontare il mio corpo che invecchia. Ne ho paura, ma anche ne sono attratta, vedo che cambia e questo mi intriga sempre di più.

[Ti va di parlarmi di “Interno sospeso”? Come si relazione al pubblico?]
Sono molto felice di portare “Interno sospeso” al Performatorio. È un lavoro nuovo, che ho amato e nasce in collaborazione con una compositrice con la quale lavoro da anni, Elisa Batti. “Interno sospeso” è un'evoluzione di un progetto già esistente, legato all’immobilità, in cui ero avvolta in una nuvola di rete metallica. Un materiale sottile che ha una sua durezza ma ha anche un qualcosa di profondamente etereo. Ho iniziato ad appassionarmi a questo contrasto che in qualche modo rappresenta anche una dinamica interiore - un confine. È una scultura che ogni volta si adatta allo spazio così come il mio corpo si adatta ad abitare quei limiti, infilandosi negli spazi possibili.

La rete ha molti significati, anche politici. Mi interessa come l’intelligenza del corpo trovi spazio all’interno del limite, creando nuove strade. Mentre preparavo questo lavoro pensavo all’idea dell’animale, a come trova una forma di resistenza all’interno dello spazio in cui viene costretto, senza superarlo ma trovando il modo per abitarlo.

La composizione musicale contribuisce a creare uno spazio sospeso, una bolla in cui il tempo si dilata e perde la sua connotazione. Il pubblico è invitato ad abbandonarsi, a perdersi in un’immagine senza dover cercare necessariamente un filo logico o una narrazione intellettuale. Il mio auspicio è che le persone si abbandonino a una fruizione emotiva, come possono e per il tempo che possono.

see-through, 2019, Federica Dauri

[Il tempo della contemplazione è qualcosa che stiamo perdendo…]
È una costante dei miei lavori. Penso che il tempo dilatato sia qualcosa di necessario, che stiamo dimenticando e che forse, nel mio piccolo attraverso la performance, cerco di riproporre. Perché è solo così che possiamo riprendere contatto con un modo diverso di stare, meno frenetico, meno legato al fare, al produrre. Un oziare creativo.

[Che è necessario]
Necessario per sentire il corpo.

[Stiamo tornando all’inizio di questa conversazione, quando tu mi dicevi che la tua idea di danza è una ricerca interiore del corpo, che intendi il movimento come un’intenzione deliberata che in potenza riguarda tutte le persone. La frenesia del fare e produrre invece ci allontana dall’intenzione...]
È esattamente quello che intendevo, parlando di danza ma anche, banalmente, della consapevolezza dell’effetto che ha qualsiasi cosa sul nostro corpo; della sua condizione psicofisica. In che modo una notizia che abbiamo ricevuto sosta nel nostro corpo? Quale reazione ci provoca? Dove la sentiamo? In che modo respiriamo?

Quando mi trovo a insegnare parto sempre da un grosso lavoro sul respiro e mi rendo conto quanto sia difficile, per esempio, inspirare, mantenere un’inspirazione lenta, quindi prendersi del tempo per far entrare l’aria nel nostro corpo. Già questo ti fa capire quanto poco tempo ci concediamo per sentire le nostre necessità, corporee ma anche emotive.

Fase orale, 2018, Federica Dauri e Martina Gabrielli, ph © Paolo Sasso

[Prima, parlando di “Interno sospeso” hai toccato il tema del valore simbolico e politico di un’opera. Cosa significa essere un’artista oggi, rispetto al contesto globale che stiamo vivendo?]
È un momento storico difficilissimo: troppe guerre in corso, troppe ingiustizie, troppo orrore. L’umanità sembra soffocare sotto il peso di conflitti senza fine e di violenze che si ripetono, mentre la dignità umana e i diritti fondamentali vengono calpestati ogni giorno. Basta guardare al Medio Oriente: la resistenza del popolo palestinese, schiacciato dal peso di un genocidio che minaccia di annientarlo, eppure capace di trovare ancora la forza di resistere. È un popolo che ha attraversato decenni di conflitto e una crisi umanitaria di proporzioni drammatiche. E allora mi chiedo: cosa possiamo fare noi?

Forse l’unica strada, come artisti ma prima di tutto come esseri umani, è continuare a informarsi e studiare, nutrendoci di una pluralità di fonti per sviluppare una comprensione attiva e critica. Non possiamo accettare il silenzio e l’indifferenza, dobbiamo riflettere profondamente sui diritti umani violati, sulle violenze e sulle ingiustizie, stimolando riflessioni critiche sul ruolo di una comunità internazionale che troppo spesso rimane inerte e in silenzio.

(Ph. © Hanna Schaich)

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