[Quando si parla di performance si è soliti pensare alla presenza, fisica, del corpo, che spesso coincide con quello dell’artista. Nella tua pratica, invece, la performance si libera in un certo senso da questa “etichetta” e il linguaggio si espande attraverso altri media. Qual è il tuo interesse? Ti va di descrivermi la tua ricerca?]
Il corpo è al centro del mio percorso, della mia pratica e della mia ricerca… più che la performance. Io non sono un performer e non uso strettamente il medium della performance art, soprattutto nella sua accezione più storica e radicale che come dici tu prevede una coincidenza tra il corpo esposto e quello dell’artista. Penso al mio lavoro come un lavoro sul corpo, mio e degli altri. Un lavoro di contatto e di superficie (non superficiale), sicuramente di esposizione e apertura in cui l’individualità non è mai osservata in modo univoco, ma entra costantemente in relazione alla collettività… “singolare-plurale” citando le parole di Jean-Luc Nancy.
[Che ruolo ha per te il pubblico?]
Il pubblico è centrale nel mio lavoro, io credo che il pubblico sia l’unica componente che contraddistingue quello che chiamiamo performance. Se non c’è pubblico non c’è performance: senza uno spettatore, colui che guarda, non c’è spettacolo… incluso quello della vita di tutti i giorni. Pensiamo agli abiti, i vestiti in cui entra il corpo, esistono anche da soli, sono degli oggetti e rispecchiano la nostra soggettività, ma li indossiamo per relazionarci agli altri, per esporci: con un gioco di parole… li abitiamo. In una performance “Oh boy! Body Nobody” chiedo al danzatore e coreografo Jacopo Jenna di svestirsi e vestirsi senza mai smettere di danzare. Si tratta di un gesto quotidiano, fatto in una dimensione pubblica, che viene stravolto nei suoi movimenti danzanti e diventa qualcos’altro, facendoci perdere la nozione di identità.
[Che relazione c’è tra la componente visiva e quella sonora nelle tue opere?]
Il suono per me è molto misterioso… Da adolescente suonavo il flauto traverso e la mia maestra mi disse che non avevo il senso del suono e della musica. Questo breve ricordo, qui esposto, fa parte delle piccole vendette che ti prendi sul passato.
Alcuni anni fa facevo da dj… pur non avendo nemmeno un’idea di come mixare tra di loro le canzoni e non volevo neanche impararlo, le tagliavo o producevo dei silenzi… mi chiamavano Dj Robespierre!
La musica per me è un elemento fondamentale che si relaziona al corpo e alle sensazioni, lavorare al film “La discoteca” in cabina di montaggio audio mi ha fatto scoprire un universo sconosciuto. Mi era già capitato di vedere dei film solo ascoltandoli, l’ho fatto anche pubblicamente al MACRO di Roma proiettando solo la traccia sonora di “Profondo Rosso” di Dario Argento. Dario e i suoi fans non hanno molto apprezzato, ma per me fu un omaggio alla sua visionarietà.
Bellissimo ascoltare “Twin Peaks” del 2017… devi provare!
Non ho proprio risposto alla tua domanda, ma va bene uguale.
[“La discoteca” è un film del 2021 ma è quanto mai attuale per i temi che porta - il controllo dei corpi e delle emozioni, i luoghi della socialità e la performatività del sé. Da dove nasce l’idea di questo lavoro?]
Nasce dal fatto che mi mancano quegli ambienti dove il baluginio delle luci incontra odori bizzarri e tutt* si vestono, svestono e ballano… Forse è un percorso di avanzamento dell’età a cui ho reagito inventandomi una storia che potesse farmi continuare ad abitare questi luoghi che non voglio lasciare. Ho iniziato immaginandomi rose, zombie e discoteche, il primo trattamento era una storia horror con in mezzo dei pezzi di canzoni italo-disco. La produzione quando l’ha letto tra un po' sviene, perché tutto questo nel cinema deve essere costruito e necessita molti soldi. Mi ricordo che nel primo trattamento c’erano delle rose che bruciavano. Mi dissero subito che far bruciare una rosa è problematico perché devi usare materiali appositi, chiamare l’esperto e tutto questo ha un costo etc etc.; per me non è così, il cinema è la possibilità di illuderci e guardare una rosa che brucia senza mai diventare cenere… se hai dentro un’immagine cosi, questa si trasformerà in qualcosa che in un modo o nell’altro potrai realizzare.
[Oggi siamo sempre più immersi nella narrazione e i social fanno ormai parte della nostra vita, tutto ciò che fruiamo è inserito dentro a un racconto espanso e transmediale: in che modo vedi la relazione tra social e pratica performativa?]
Per i social, come per ogni pratica e linguaggio, c’è da una parte un senso di costrizione e dall’altra la possibilità di utilizzare il mezzo a piacimento creando delle possibilità inesplorate. I device sembrano cosi alienanti e alieni perché appunto sono degli intrusi che si intromettano nel linguaggio per poi cambiarlo.
William S. Burroughs disse: “Language is a virus”.
Si può anche dire che Body is a virus, Performance is a virus o, pensando a Gertrude Stein, “ A virus is a virus is a virus is a virus is a virus...”
“A rose is not a rose” è l’inizio del film “La discoteca”.
[Mi piace tantissimo il modo in cui, nelle tue opere, i riferimenti visivi si mescolano - il mondo della danza classica con quello delle ballroom, l’immaginario della discoteca con il racconto fantascientifico - e mi viene in mente anche qui il tuo esempio dei fiori che creano armonia nella diversità. Quali sono le autrici e autori che influenzano oggi la tua ricerca?]
Come vedi ti ho citato già autori, autrici, colleghi, amici… credo che una ricerca non sia mai un fattore individuale.
Se penso a un giardino ci sono le siepi, gli alberi, le piante: Isa Genzken, Walter Siti, Kenneth Anger, Ari Aster, Jordan Peele, Kai Althoff, Jérôme Bel, Meris Angioletti, Michael Jackson, Trisha Donnelly, Eva Robin’s, Sturtevant, John Waters, Giuliano Scabia, Pauline Curnier Jardin, Sonia Gomez, Kinkaleri, Jean Cocteau, Alessandra Mancini, Tomaso Binga, Yukio Mishima, Chiara Fumai, Miranda July… per citare solo alcuni nomi che mi vengono nell’immediato, ma ce ne sono molti altri.
Nel giardino… ci sono anche i fiori; questi sono gli studenti e le studentesse che in questi ultimi anni mi hanno fatto scoprire nuovi aspetti della ricerca artistica.